Quiet quitting è il nuovo fenomeno lavorativo che ha preso il posto delle “grandi dimissioni” post covid. Il termine quiet quitting è riconducibile a quell’atteggiamento per cui al lavoro “ci siamo e non ci siamo”. Ci presentiamo in ufficio e ci limitiamo a fare il minimo indispensabile per non perdere il posto di lavoro e portare lo stipendio a casa. Alle 18 spaccate casca la penna e siamo fuori dall’ufficio.
Quiet quitting, l’abbandono silenzioso del lavoro
Il fenomeno del quiet quitting sta assumendo delle proporzioni importanti perché, visto il tempo di crisi energetica, i molti dimissionari hanno dovuto far marcia indietro e non lasciare il lavoro. Ma si abbandona il lavoro anche silenziosamente. Succede quando non ci si sente motivati, quando non ci viene riconosciuto il nostro impegno e sacrifici.
Secondo le ultime news, il fenomeno del quiet quitting è riconducibile per una parte nella volontà di sempre più persone di farsi assorbire meno dai ritmi e dalle richieste del lavoro. E quindi, di fare più spazio alla famiglia, agli amici, alla realizzazione personale extra lavoro.
Una buona parte di responsabilità, però, sta anche in capi, responsabili e manager che fanno ben poco per per promuovere un clima di fiducia e ascolto, un ambiente in cui nutrire talenti e motivazioni delle persone nei propri team.
A prescindere da dove stiano colpe e responsabilità, su una cosa è chiara. Il quiet quitting, “l’abbandono silenzioso” nelle otto ore che passiamo al lavoro, si riversa per forza di cose anche in quello che facciamo, in chi siamo, anche al di fuori del lavoro.
Per una ragione molto semplice: non possiamo accenderci e spegnerci a comando. E al lavoro passiamo molto tempo e dedichiamo energie.
La routine lavorativa che ci uccide
Ci sono delle motivazioni che vanno ripetendosi. Ad esempio:
Mancanza di motivazione
Nel progetto a cui stai lavorando da mesi ci si sente isolati, mancano feedback che ci confermino che stiamo facendo bene, che stiamo prendendo la direzione giusta e step di supporto che ci aiutino a fare il passo successivo.
Mancanza di desiderio di andare in ufficio
Un’altra motivazione ricorrente che ci stiamo trascinando sul lavoro è la mancanza di entusiasmo di andare in ufficio e fare cose che odiamo fare. Ad esempio: in cuor nostro sappiamo che siamo inclini ad un progetto strategico, ma continuiamo a trascinarci nel nostro ruolo operativo perché abbiamo timore che a nessuno possa interessare il nostro profilo non avendo una consolidata esperienza in quel campo che ci piace tanto.
Ansia fin dalla domenica
Alla frustrazione e alla paura si aggiunge l’ansia di dover andare al lavoro. L’idea di dover affrontare il collega antipatico, giudicante e pettegolo ci mette a disagio anche durante il week end.
Come reagire al quiet quitting?
Reagire alla demotivazione e al conseguente quiet quitting è il primo passo per circoscrivere la nostra insofferenza professionale. Solo allora ha senso iniziare a valutare possibili opzioni e soluzioni.
- Non c’è bisogno di mollare tutto subito. Potrebbe essere utile chiedere al tuo capo di darti dei feedback puntuali sul tuo operato.
- Magari non è l’operatività del tuo ruolo attuale il problema, ma il fatto che non stai facendo passi nella direzione da cui ti senti chiamato per paure ed ansie.
- Magari non è la tua collega il problema (o meglio, non solo), ma il fatto che non riesci ad esercitare la tua assertività e a renderle chiaro quali sono i confini che con te non possono essere superati.
Perdersi e non trovare più i propri valori
Il rischio più grande e insidioso del quiet quitting è perdersi in giornate tutte uguali, aspettare che arrivi il week end e vivere in funzione del week end. Così facciamo passare settimane, mesi, anni… abbandonando silenziosamente le nostre aspirazioni, ambizioni e talenti.
E non abbandoniamo silenziosamente solo un lavoro, ma una promessa ben più importante fatta a noi stessi.Quella di vivere una vita che ci assomigli e che dia senso al nostro agire.