Italiani in fuga dal lavoro. Come certificato dalle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, sono oltre 1,6 milioni le persone che hanno dato le dimissioni nei primi nove mesi del 2022. Parliamo del 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 quando a lasciare il lavoro erano stati in 1,3 milioni. Le Grandi Dimissioni, seppur in misura ridotta rispetto agli Stati Uniti, interessano quindi anche l’Italia con caratteristiche però differenti visto il mercato del lavoro tradizionalmente più ingessato rispetto a quello a stelle e strisce.
Italiani in fuga dal lavoro. Chi si dimette?
Ma chi lascia il lavoro? Per rispondere a questa domanda è utile recuperare l’indagine della Fondazione studi dei consulenti del lavoro in cui si fa riferimento al periodo 2019-2021. Posto che nel 2022 il fenomeno delle dimissioni si è poi accentuato, è interessante individuare le categorie toccate dal fenomeno negli ultimi anni. Si tratta di professionisti qualificati che scelgono di andarsene per cercare un’occupazione migliore sia in termini di retribuzione che di equilibro vita-lavoro. Si va dagli ingegneri ai medici e infermieri passando per geometri e operai specializzati. Il confronto tra i primi tre trimestri del 2019 e del 2021 evidenzia infatti un incremento soprattutto tra i segmenti dei laureati e dei lavori qualificati. Tra i settori più interessati dal fenomeno c’è l’edilizia in cui si contano il 9,7% delle dimissioni tra 2019 e 2021. Si stima che nelle costruzioni, l’incremento delle persone che si sono dimesse tra 2019 e 2021 sia stato pari al 47,1%, mentre nel comparto sanità e assistenza sociale la crescita è stata del 33%
Le dimissioni interessano le donne nel 2022
Le dimissioni sono poi in crescita tra le lavoratrici. Su questo fenomeno hanno un peso storico la maternità e le difficoltà nel conciliare famiglia e lavoro. Tanto che molte donne escono dal mercato dopo le dimissioni. Se si guarda poi alle comunicazioni obbligatorie, nel terzo trimestre 2022 si sono dimessi 562.258 lavoratori di cui 317.734 erano uomini e 244.524 donne con le donne però che segnano rispetto allo stesso trimestre del 2021 un +22.717 donne (+12.257 tra gli uomini).
I giovani e le differenze tra territori
L’età e il livello di istruzione segnano differenze non banali nelle prospettive dei lavoratori dopo le dimissioni. Scrivono i ricercatori: «Se nelle fasce d’età centrali, tra i 35 e 54 anni, più del 60% dei dimessi ha un’altra occupazione, la quota scende al crescere dell’età, arrivando al 33,7% tra chi ha più di 55 anni. Anche tra i laureati la quota di “rioccupati” dopo le dimissioni è più alta, raggiungendo il 69,2% contro il 55,8% dei diplomati e il 51,3% di chi ha un titolo di studio inferiore». Al Nord il fenomeno si lega alla mobilità del mercato mentre al Sud la maggioranza resta senza contratto di lavoro: solo il 49,5% risulta ricollocato. L’Associazione italiana direzione del personale evidenzia poi come le grandi dimissioni siano diffuse tra i più giovani. Tanto che si possono considerare una delle cause del divario economico, sociale e culturale tra la generazione dei baby boomer i millenial e la Gen Z.
Dimissioni e propensione a lasciare
Le dimissioni potrebbero poi crescere ancora. Stando all’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, “Italiani e lavoro nell’anno della transizione”, più della metà dei lavoratori del Belpaese (55%) vuole cambiare lavoro, perché insoddisfatto dell’occupazione attuale. Un 15% sarebbe costantemente alla ricerca di una nuova occupazione. Salari bassi e scarsa crescita professionale sono alla base dell’insoddisfazione ma pesa, come detto, anche la ricerca di un maggior benessere personale. Con lo smart working promosso a pieni voti dall’84,2% dei lavoratori agili.
(fonte Corriere della Sera, Diana Cavalcoli, 27 gennaio 2023)